Scultore e designer, Eugenio Tavolara nacque a Sassari nel 1901, figlio di una famiglia della borghesia cittadina ma di origini liguri. Tra il 1914 e il 1918, mentre l'Europa combatteva la Prima Guerra Mondiale, Eugenio Tavolara frequentò l'Istituto Tecnico cittadino, intitolato ad Alberto Ferrero La Marmora, ma il suo interesse si concentrò sin da giovanissimo sulle espressioni artistiche in generale: condivise questa passione con gli amici nonché compagni di scuola Nino Siglienti e Mario Onòfaro, con i quali creò decorazioni per spettacoli, disegni caricaturali etc. Tavolara approfondì le proprie ricerche sull'arte e sull'arte “applicata”, fu cioè attratto dalla realizzazione artigianale di opere concepite “artisticamente”: creare oggetti degni di uno studio d'artista ma fabbricati in maniera artigianale, secondo il precetto futurista di portare la creazione artistica nella quotidianità, tra la gente. Il terzetto di amici Tavolara-Siglienti-Onòfaro fu affiatato e produttivo fino alla metà degli Anni Venti: nel 1925 Tavolara elaborò il disegno “Cristo deposto”, una tempera su cartoncino nero che doveva divenire la decorazione di un piatto, e partecipò con Siglienti all'allestimento dello spettacolo teatrale goliardico The Frenetic Universitary Jazz Band Orchestra. Nino Siglienti invitò Tavolara a seguirlo a Milano ma lui rifiutò, mentre Onòfaro iniziò la sua carriera di ingegnere: così il terzetto si sciolse e ognuno proseguì per la propria strada. Tavolara si trasferì a Cagliari per iscriversi all'Università e là ebbe modo di conoscere e stringere amicizia con Tosino Anfossi (Tempio, Sassari, 1892 – Sassari, 1934): entrambi non erano interessati agli studi universitari e presto decisero di unire le proprie passioni dedicandosi a una produzione d'arte applicata: il giocattolo. Tavolara lasciò gli studi, mentre Anfossi prese la Laurea in Chimica ma la lasciò in un cassetto: fondarono nel 1926 la società ATTE, nome creato unendo in acronimo le iniziali dei loro cognomi e nomi, e si dedicarono alla produzione di giocattoli, arazzi e oggetti di cuoio, riuscendo ad affermarsi come casa di produzione di oggetti assai ricercati entro la fine del decennio. La casa ATTE, nel 1930, fu contattata dall'ENAPI, l'Ente Nazionale Artigianato Piccole Industrie, per poter dare il via a una produzione di bambole in costume ciociaro disegnate dallo scenografo e illustratore Mario Pompei (Terni, 1903 – Roma, 1958): fu l'occasione per Tavolara di maturare un proprio progetto. Rotta la società con Anfossi, Tavolara aprì la propria casa di produzione, chiamata ALBA: le linee di produzione furono quella dei mobili, quella degli oggetti d'arredo e quella dei giocattoli. Per i giocattoli si avvalse della collaborazione di Pompei e dette vita alle serie delle “Maschere italiane” e dei personaggi di “Pinco Pallino”, “Pierino” e “Saputino Saputello”, noti al pubblico dei piccoli lettori per le strisce a fumetti che apparivano sui periodici dell'infanzia. E' con il 1933 che Tavolara, dedicatosi anche ad alcune piccole decorazioni scultoree, volle creare una prima serie di bambole avente per soggetto l'etnografismo sardo: chiamando la serie “Scene di vita sarda” presentò i pezzi quello stesso anno alla V Triennale di Milano, ottenendo un grande successo, che bissò con la IV Sindacale Fascista di Cagliari tenutasi sempre nel 1933. Eugenio Tavolara poté, l'anno successivo, partecipare come scultore alla Biennale veneziana presentando i due rilievi “Gesù al monte degli ulivi” e “Golgota”, ma furuono le serie di bambole a consentirgli di conquistare il pubblico: da ricordare le serie dei “Negri”, degli “Sportivi” e dei “Suonatori di jazz”, dimostrazione che Tavolara era assai capace e non vincolato dal solo tema della Sardegna tradizionale (produsse nel decennio quattro serie di bambole “sarde”, assai apprezzate). Nondimeno l'arcaicità isolana fu per lui ottima fonte di ispirazione anche per la produzione quale scultore. E' infatti il Tavolara scultore a emergere con gli Anni Trenta: fu presente alla II Quadriennale romana nel 1935 con le opere “Contadina sassarese” e “Deposizione” e alla Biennale di Venezia del 1936 con le opere “Popolani della mia città” e “La cena col tredicesimo”. Nel 1936 ottenne anche l'insegnamento (cattedra di Scultura Decorativa) all'Istituto d'Arte di Sassari, allora appena fondato e diretto da Filippo Figari. Nel 1937 creò il gruppo di bambole formanti la “Mascherata sassarese”, illustrante il carnevale storico di Sassari, nel 1938 realizzò un diorama intitolato “Villaggio sardo” per il Museo Etnografico di Bucarest, realizzò la Via Crucis per la chiesa di San Ponziano a Carbonia (vi lavorarono nello stesso periodo anche Filippo Figari per le vetrate e Gavino Tilocca per la statua di Santa Barbara) e sempre nello stesso anno sposò a Sassari Maria Falco, sua collaboratrice. Inesauribile sul lavoro, Tavolara nel 1939 eseguì il gruppo “Cavalcata di Miliziani sardi” per il Museo cagliaritano del Risorgimento e il gruppo “Le avventure di Pinocchio”, che espose a Firenze e poi a Sassari nelle Mostre dell'Artigianato tenutesi nelle due città. La mostra sassarese dell'artigianato fu curata da Ubaldo Badas (Cagliari, 27 giugno 1904 – 12 aprile 1985), all'epoca giovane architetto che seppe imprimere un particolare tono all'allestimento: con Tavolara nacque un'amicizia che portò frutti nel Dopoguerra. Fu con questi gruppi e con le serie di bambole “sarde” della fine degli Anni Trenta che iniziò la collaborazione di Eugenio Tavolara con l'intagliatore Pasquale Tilloca: fu lui a dargli una preziosa mano nell'esecuzione di ben 200 pezzi che formarono il gruppo “Cavalcata sarda” esposto nel 1940 alla VII Triennale milanese. Sempre nel 1940 ebbe la commissione pubblica di eseguire per il Tribunale di Sassari un crocifisso ligneo e i rilievi in pietra aventi per soggetto “I dieci Comandamenti”: all'opera collaborarono l'allora giovane (appena ventinovenne) ma già affermato scultore sassarese Gavino Tilocca, che realizzò il modello in creta, e lo scultore Gildo Fina (Roma, prima metà del XX secolo), che eseguì l'opera in trachite. Malgrado la guerra, Eugenio Tavolara proseguì nella sua attività, partecipando a esposizioni e prendendo delle commissioni come scultore, anche se il declinare delle sorti italiane portò a un progressivo rallentamento. Fu con il Dopoguerra che per Tavolara si aprì la prospettiva assai interessante di poter riorganizzare l'artigianato in Sardegna: ottenne nel 1949 la carica di responsabile prima provinciale e poi regionale dell'ENAPI, organizzò nei primi Anni Cinquanta dei corsi finanziati dalla Regione sarda per formare le nuove leve dell'artigianato e personalmente girò per i paesi della Sardegna per recuperare le antiche tecniche di intaglio e tessitura, di lavorazione del ferro coinvolgendo i depositari a entrare in un circuito che potesse promuovere il rifiorire dell'artigianato sardo. Nel 1953, con la preziosa collaborazione di Ubaldo Badas, poté dar vita la Mostra dell'artigianato Sardo, allestita a Sassari. Negli stessi anni Tavolara fu occupato anche in commissioni pubbliche e private (alcune opere di tema sacro al Duomo e al Cimitero di Sassari, dove decorò il portale della nuova chiesa e delle tombe di famiglia, alla Basilica di San Gavino a Porto Torres, poi i pannelli decorativi istoriati a rilievo nelle sedi sassaresi della TETI, dell'ICAS e dell’OLIVETTI). Nel 1954 fu inaugurata in piazza Sant'Antonio a Sassari la fontana commissionata a lui dal Comune di Sassari e nel 1956 fu tagliato il nastro inaugurale del padiglione espositivo eretto nei giardini pubblici sassaresi su progetto di Badas per ospitare le mostre dell'artigianato. Nel 1957 nacque l'ISOLA, l'Istituto Sardo per l'Organizzazione del Lavoro Artigiano, coronamento delle volontà di Tavolara, che ne fu responsabile e guida insieme con l'amico Badas. Da allora l'artigianato sardo raccolse una gran mole di riconoscimenti nazionali e internazionali, esponendo pezzi assai apprezzati nelle varie mostre ed esposizioni. Questo successo comportò il problema della commercializzazione: il mercato chiedeva una quantità d'oggetti che la lavorazione artigianale per sua stessa natura aveva difficoltà a produrre. Tavolara cercò di risolvere il problema, ma nel 1962 gli fu diagnosticato un male incurabile, che nel volgere di pochi mesi lo spense: morì il 13 gennaio 1963.
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