Figlio del medico condotto di Arzana, Stanislao Dessy, noto con l'abbreviativo Stanis, divenne uno dei maggiori esponenti della Pittura Sarda del Novecento: soprattutto eccellente incisore (utilizzò la xilografia, ma anche l'acquaforte), pittore, scultore, designer di mobili ed elementi ceramici, e poi anche caricaturista e illustratore. Una figura a tutto tondo che ebbe modo di rapportarsi con gli altri artisti sardi ma, a differenza della gran maggioranza di loro, al posto della tematica forte dell'etnografismo e dell'identità sarda seppe mettere al centro della sua arte uno spirito d'osservazione dotato di curiosità e voglia di ricerca sul reale quotidiano, senza risvolti regionalistici.
Stanis Dessy svolse i suoi studi a Cagliari, dove frequentò le scuole dal 1906 al 1916, però non conseguì il diploma al Liceo Classico: si aggiudicò invece una borsa di studio del Comune di Cagliari che gli consentì di iscriversi, a Roma, all'Accademia di Belle Arti. Nell'ambiente romano, frequentando sia l'Accademia sia gli Studi di artisti noti, entrò in contatto e poté avvicinare figure quali quelle di Giovanni Prini (Genova, 1848 – 1926), Duilio Cambellotti (Roma, 14 maggio 1876 – 30 gennaio 1960), Onorato Carlandi (Roma, 15 maggio 1848 – 11 aprile 1939), Vittorio Grassi (Roma, 1878 – 1958), Antonino Calcagnadoro (Rieti, 12 febbraio 1876 – Roma, 3 dicembre 1935) ed ebbe modo di osservare da vicino il Futurismo nelle persone di Giacomo Balla (Torino, 18 luglio 1871 – Roma, 1° marzo 1958) e Filippo Marinetti (Alessandria d'Egitto, 21 dicembre 1876 – Bellagio, Como, 2 dicembre 1944), nonché avvicinare la pittura moderna e classica, ordinata e misurata, promossa con la rivista Valori Plastici, fondata nel 1918 a Roma e diretta dal pittore Mario Broglio (Piacenza, 1891 – San Michele di Moriano, Lucca, 1948).
L'esperienza romana segnò fortemente Dessy, soprattutto il rapporto con Calcagnadoro che lo guidò al disegno e all'incisione: rientrato nel 1921 a Cagliari, la sua “calata” nel campo artistico regionale si fece notare eseguendo dei lavori per il Circolo Universitario e il Teatro all'Aperto del Lido, palesando modi che richiamavano un'aggiornata visione espressiva caratterizzata appunto da quel nitore compositivo che si discostava dal filone della Sardegna quale fonte musiva con i suoi arcaismi e i suoi idilli... A Cagliari poté frequentare artisti quali Filippo Figari, Felice Melis Marini (Cagliari, 18 dicembre 1871 – 30 aprile 1953) e Francesco Ciusa (Nuoro, 2 Luglio 1883 – Cagliari, 26 febbraio 1949), del quale seguì gli insegnamenti per lavorare la ceramica.
La pittura degli Anni Venti per Dessy fu caratterizzata da toni atmosferici adamantini, cristallini, vibranti luce: suoi soggetti i ritratti (in particolar modo autoritratti) o scene del quotidiano, sempre moderne nel gusto, sarde solo nella localizzazione geografica. Gli Anni Venti furono pieni di impegni artistici e non: dal 1923 iniziò a collaborare con la rivista cagliaritana Il Nuraghe e incominciò la lunga serie di partecipazioni a mostre ed esposizioni.
Nel 1924 si fidanzò con Ada Dessì (figlia di Vincenzo Dessì, tipografo a Sassari, numismatico e archeologo dilettante) e dal 1926 si stabilì a Sassari, entrando in contatto con artisti quali Mario Paglietti (Porto Torres, Sassari, 18 Marzo 1865 – Sassari, 1943) ed Eugenio Tavolara, anche se ottenne alcune importanti commissioni a Cagliari e nel Sulcis. Proseguì nel partecipare a mostre ed esposizioni.
Stanis Dessy ebbe una svolta nella sua produzione a partire dall'inizio degli Anni Trenta: il viaggio fatto a Parigi per alcuni mesi con la moglie (grazie al quale toccò con mano la “temperie” internazionale), ma soprattutto l'avanzare in Italia della corrente di Novecento (sorta nel 1922 a Milano), propugnatrice di un'arte “nazionale” bandente i regionalismi (assecondante in questo la politica del Regime Fascista) misero Dessy davanti alla necessità di cambiare, di evolvere, per non subire una crisi come la cerchia di artisti sardi che con l'etnografismo avevano sviluppato i propri percorsi artistici e che si vedevano tagliati fuori dal “grande giro” nazionale. Stanis Dessy, singolare nella sua produzione sul panorama regionale, con questa nuova “politica” artistica si trovò avvantaggiato, anche se le nuove tendenze, miranti a un'arte celebrativa dei fasti nazionali, classica ma anche essenziale nelle forme, portarono ad un suo “adeguamento” manifestatosi in un incupimento della tavolozza, approdata a tonalità meno squillanti del decennio precedente, assommata a una demarcazione molto meno nitida dei contorni nel disegno di base.
Se questi erano gli esiti nella pittura, Dessy evolse in quegli anni anche come incisore. L'appassionarsi di Dessy, a partire dal 1924, all'incisione su legno ebbe lo slancio di un treno in corsa: la xilografia venne abbracciata dall'artista, prossimo a entrare nella propria fase matura, e divenne nel volgere di pochi anni (e di molte serie prodotte) la sua grande vena espressiva. Ad una prima fase di approccio, dai tratti un po’ grevi e vistosi, Stanis Dessy diede seguito con un’evoluzione “düreriana”, ossia dal chiaro, pulitissimo tratto: i soggetti furono paesaggi ma anche figure singole o gruppi (celebre la serie dei “mendicanti”, di crudo realismo). Provò con successo anche l'Acquaforte e il Monotipo. A metà degli Anni Trenta Stanis Dessy fu unanimemente riconosciuto come uno dei più valenti xilografi non solo sardi, ma italiani: ad attestarlo le numerose esposizioni di sue opere in mostre quali la Biennale veneziana e concorsi anche esteri. Dal 1934 insegnò a Sassari Incisione dapprima nella Scuola d'Arte da lui aperta e quindi, tramutata questa da parte del Governo in Istituto d'Arte (con la direzione artistica di Filippo Figari), ne divenne insegnante.
La maturità artistica, dagli Anni Trenta, si manifestò ancor di più con lo sfollamento per la guerra trascorso nel piccolo paese logudorese di Padria: Stanis Dessy divenne intimista, con una vena di crepuscolarismo gozzaniano, iniziando a trovare piacere nelle “piccole cose”, nella quiete della campagna che divenne soggetto di innumerevoli opere, incisioni e tele, scorci di campi ritratti con vena nostalgica. Il Dopoguerra fu per lui un periodo diviso tra l'insegnamento all'Istituto d'Arte con i suoi allievi (diversi di loro divennero artisti affermati), alcune importanti commissioni (la cappella cimiteriale sassarese nel 1949), numerose collaborazioni con la stampa quale critico, la produzione (soprattutto incisoria, sempre apprezzatissima) e la famiglia, accresciutasi già da anni con l'arrivo dei figli (amatissimi, suoi soggetti per ritratti a incisione e su tela: tra loro è Paola, che seguì la strada dell'Arte segnata dal padre).
Nominato Accademico dell'Arte del Disegno a Firenze nel 1953, celebrato da Remo Branca nella sua opera monumentale sulla xilografia in Sardegna, nel 1970 si ritirò dall'insegnamento. Colpito da un ictus nel 1975, si riprese prontamente, ricominciando a disegnare ancora convalescente e non ancora dimesso dall'ospedale. Attivo fino all'ultimo, come fu per tutta la sua vita (vero cultore del “Lavoro” inteso come nobilitazione dell'uomo), si spense a Sassari il 21 ottobre 1986.
Una lapide a ricordo dell'artista è apposta in facciata, presso il portone, del palazzo proprietà della famiglia della moglie e posto nel Lago Felice Cavallotti, al civico 13/a.
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