La natura morta fa parte della produzione eseguita durante gli anni della guerra, quando nella produzione di Mauro Manca troverà spazio una serie di opere aventi per soggetti queste composizioni floreali, riconducibili a una visione intimistica, rimandanti forse al “salotto buono” della propria famiglia o a quello alto-borghese della famiglia della futura moglie Francesca Binna. In questa opera come in altre i fiori sono collocati in un vaso di ceramica del modello “Vecchia Parigi”, ossia di gusto ancora tardo ottocentesco, prodotti fino al primo Novecento e presenti nei salotti delle famiglie borghesi e benestanti. La composizione ha per l'artista forse il valore di un’ancora: un appiglio al reale familiare e affettivo dove trovare sicurezza e serenità, meno elaborato dell'illusoria, fantastica Città Ideale di Farehana... La pittura di Manca appare nervosa, dai tratti forti e zigzaganti, obbedienti all'impulso deciso della mano che traccia rapida impressioni che traducono il vaso con fiori sulla tela, annullandone la realtà dettagliata e trasponendone l'impronta cromatica, vibrante la luce bastevole per farla emergere dal fondo indistinto, scuro di un blu tenebra, solcato da tenui vapori.
La fonte d'ispirazione:
Le “ceramiche vecchia Parigi”
Nell'opera di Mauro Manca si distingue la particolare forma del vaso in ceramica bianca: è “a cartoccio”, come si tende a definire quella tipologia nel mercato antiquario.
Si tratta di una forma in realtà a calice, nell'apertura superiore, ma anche questo è riduttivo perché, di fatto, i numerosi esemplari di questi piccoli vasi (che nascevano sempre in coppia, dalle manifatture semi-industriali) sono definibili più semplicemente come “mistilinei”, mutando in innumerevoli fogge da modello a modello. Questi vasi in ceramica bianca e decorati a mano ebbero una grande diffusione nella seconda metà dell'Ottocento, nel pieno fiorire degli interni borghesi. Furono prodotti di norma sempre in coppie, nelle più disparate misure ma rimanendo sempre entro i parametri del “soprammobile”, senza diventare oggetti “da pavimento”: assai spesso erano venduti, oltre che in coppia, con delle composizioni di fiori finti (in tessuti colorati e fil di ferro, a volte in carta invece che in tessuto) il tutto collocato entro strette e alte campane di vetro che preservavano dalla polvere. Sulla fronte di questi vasi trovavano spazio, entro la superficie convessa, dei disegni floreali, oppure delle scene con soggetto storicistico, ma anche soggetti religiosi, mentre sulle altre parti (base, fianchi e sommità crestata) i movimenti plastici e le forme erano accentuate da decorazioni dorate. A volte erano decorati anche le facce del retro, ma solo negli esemplari più raffinati. Questa tipologia di ceramiche prese il posto, nell'arredamento borghese e aristocratico, dei vasi di forma ancora neoclassica, prodotti già con procedimento semi-industriale nella prima metà dell'Ottocento, nello stile Impero, mentre queste ceramiche dall'aspetto più variegato rientrarono nello stile Luigi Filippo. Queste coppie di vasi, con le loro campane, con la prima metà del Novecento divennero uno dei simboli passatisti per eccellenza: tra gli Anni Trenta e Sessanta vasi e campane di vetro non furono tenuti in nessun conto, spesso furono trattati come pattume e buttati nel rinnovamento di arredamenti o nello svuotare vecchie case ereditate. Il risultato fu che molte coppie di vasi furono distrutte, come anche tantissime composizioni di fiori finti: nel “Ricordo di nonna Speranza” Guido Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916), nel secondo decennio del Novecento, immortalò quel tipo di arredo borghese ottocentesco, legandolo al Crepuscolarismo. Nel mercato antiquario, a partire dagli Anni Settanta, quelle ceramiche hanno trovato dapprima una rivalutazione (in fondo i pezzi sopravvissuti iniziarono ad avere quasi un secolo di esistenza) e poi ebbero sempre più favore e oggi vengono indicate, cumulandole ad altre ceramiche quali tazze o veilleuse sempre decorate, con la dicitura di “Ceramiche vecchia Parigi”, avendo rappresentato Parigi il centro propulsore nel gusto e nello stile dell'arredo nella seconda metà del XIX secolo.
Dati di Riferimento | |
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Anno di esecuzione | 1946 |
Misure dell'opera | cm. 17,5 x 25,1 |
Segnalazione di particolarità e/o allegati | Sul retro dell'opera sono state applicate due targhette:
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Il Supporto | |
Presenza di un supporto originale | Presente |
Nome della fibra tessile e/o del materiale costitutivo | Cartone pressato |
Strati Preparatori | |
Presenza di strati preparatori | Presenti |
Informazione sui materiali | Gesso di Bologna, collante acrilico, imprimitura a olio |
Descrizione del colore | Ceruleo |
Spessore | Sottile |
Presenza di lacune | Presente una lacuna |
Dimensioni | piccola |
Localizzazione | Angolo del quadrante superiore di destra |
Pellicola Pittorica | |
Aspetto della pennellata e/o del "ductus" | Fluida, mediamente corposa |
Presenza di iscrizioni | Presenti |
Trascrizione | "Mauro" |
Tecnica di scrittura | A pennello |
Tipo di caratteri | Corsivo |
Localizzazione | Quadrante inferiore di destra |
Originalità | Originale all'esame di Wood |
Segnalazioni di particolarità e/o allegati | Sono presenti polveri grasse e depositi organici |
Vernice | |
Presenza della vernice e/o finitura originale | La vernice presente non è originale |
Informazioni sui materiali | Oleoresina |
Presenza di mutamenti dell'aspetto | Presenti |
Tipologia | Ingialimento |
Intensità del fenomeno | Leggero |
Distribuzione sulla superficie | Intera superficie |